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Celebrazione per gli 800 anni dalla “epifania” di S.Antonio: la sua prima omelia a Forlì


S. Antonio da... Forlì

 
Con la solenne concelebrazione che il card. Mauro Gambetti, vicario generale di Papa Francesco per la Città del Vaticano, ha presieduto nella Cattedrale di Forlì, domenica 25 settembre, si sono concluse le celebrazioni per gli 800 anni di presenza di Sant’Antonio a Montepaolo e della sua prima omelia a Forlì, o cosiddetta “epifania” di S. Antonio. Il giovane frate Antonio che viveva in preghiera all’eremo di Montepaolo, tra le colline a sud di Forlì (dove visse dal 1221 al 1222 dopo l’incontro con san Francesco ad Assisi nel maggio 1221) secondo tradizione, intorno al 24 settembre 1222, tenne nella vicina Forlì la sua prima predica pubblica.

Fra Graziano, il provinciale di Bologna, lo chiamò a sostituire il sacerdote designato impossibilitato a predicare in una celebrazione solenne. Antonio, frate portoghese di 27 anni, riuscì a farsi comprendere da tutti, rivelando la sua sapienza, la sua profonda cultura biblica e la sua straordinaria capacità di comunicare il Vangelo.

Così la Vita di sant’Antonio: «1222, Cattedrale di Forlì. Il giovane frate Antonio da Lisbona, sceso dall’Eremo di Montepaolo, viene invitato a predicare in una solenne celebrazione. Nella gioia di poter annunciare la fede, lascia tutti stupiti per la profondità del suo messaggio unito ad una semplicità che tocca i cuori».
 
All’inizio della messa il vescovo, monsignor Livio Corazza ha ringraziato le autorità e i concelebranti, il vescovo emerito monsignor Lino Pizzi, che proprio quel giorno compiva 80 anni e mons. Giorgio Biguzzi; Fra Daniele Drago - Priore provinciale della Provincia San Domenico in Italia e dieci frati studenti; Fra Ignacio Ceja, Vicario Generale dell’Ordine dei Frati Minori (in rappresentanza del Ministro Generale), accompagnato da Fra Antonio Lanzi e Fra Federico Righetti Vicario provinciale della Provincia S. Antonio dei Frati Minori; Fra Roberto Brandinelli Ministro provinciale della Provincia Italiana di Sant’Antonio di Padova, che tanto ha collaborato alla realizzazione della celebrazione, insieme a diversi confratelli della Provincia. Fra tutti in particolare ha salutato il gruppo di pellegrini che partiti da Milazzo verso Padova, stanno attraversando l’Italia con la reliquia di sant’Antonio e hanno fatto tappa anche a Forlì. “Imparando la lezione di tanti secoli fa, questa volta non ci siamo distratti o dimenticati, così ci siamo assicurati per tempo di avere per questa celebrazione un predicatore non improvvisato, ma esperto e preparato. Grazie davvero di cuore a Fr. Mauro Gambetti, francescano conventuale e cardinale di santa Romana Chiesa, vicario del Papa. È romagnolo e soprattutto amico”.

 
L’omelia del card. Gambetti

Antonio di Padova, o anche Antonio da Forlì come è menzionato nella cattedrale di Lisbona in una lapide che lo storico Zelli cita in un'intervista, comincia qui - 800 anni fa - la sua missione di predicatore itinerante. La sua sapienza e la sua oratoria sono passate alla storia, ma è interessante sapere che le sue opere - in particolare gli imponenti Sermones - non godettero di una gran fortuna dopo la sua morte. Eppure, quando fu canonizzato, Gregorio IX intonò l'antifona dei dottori della Chiesa anziché quella dei confessori, come ci si sarebbe potuti attendere vista la testimonianza offerta da Antonio attraverso il suo ministero. La straordinaria sapienza di Antonio gli meriterà il titolo di Dottore della Chiesa, ma solo nel 1946 per volontà di Pio XII. Di fatto, il popolo riconobbe in lui l'amico di Dio, l'intercessore benigno verso la sofferenza dei malati e il grido dei poveri più che il dottore della fede, il dottore evangelico. Ma, in realtà, non vi è vera amicizia con Dio e con i fratelli se non c'è conoscenza del Vangelo. Antonio cominciò a predicare perché aveva ascoltato e meditato la Parola di Dio, e divenne autentico amico degli uomini praticando quella Parola.

Il Vangelo di oggi si chiude proprio con un forte richiamo in questo senso: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti". Questa conclusione suggerisce la chiave di interpretazione della parabola, che non vuole mettere paura, ma far comprendere come si può entrare nella vita piena, nella gioia senza fine. È un appello alla coscienza di ciascuno: non preoccuparti di vedere un miracolo, magari di vedere Antonio o Gesù stesso predicare, ma ascolta! Nella parabola, il ricco è un uomo senza nome, non cattivo, semplicemente insignificante. Il suo atteggiamento è proprio come quello degli spensierati di Sion e di quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria - apostrofati da Amos nella prima lettura che è stata proclamata. Il profeta, vissuto nell'VIII secolo a.C. in un periodo in cui cresceva la prosperità di Israele, richiamava alla responsabilità quella classe nobile che viveva sperperando allegramente i beni senza curarsi degli altri, del popolo, perché immersa in una magica bolla, in una illusione. Non ascoltarono e furono spazzati via dalla potenza assira che conquistò Israele e ridusse tutti in schiavitù.

La parabola ci svela il segreto della vita, il pensiero di Dio sulla vita. Negli inferi il ricco alzò gli occhi e vide. Li comincia a comprendere che ha bisogno di Lazzaro, di quel povero che sedeva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla tavola del ricco... mondo capitalista. L'uomo è sempre lo stesso. Che tristezza! Quanti uomini e donne oggi vivono nell'illusione provocata dalle ricchezze: o perché sono ricchi che pensano di essere al sicuro e poter vivere senza problemi, secondo il proprio piacimento; o perché, pur non essendo ricchi, vivono la stessa dinamica consumistica di beni materiali, di emozioni, di affetti... magari pagandoli a rate.

Il ricco alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro... Non aveva mai alzato gli occhi durante la sua vita e perciò non aveva mai visto nulla in verità. Non aveva mai udito la voce che lo invitava alla compassione. "I sordi - direbbe Antonio - sono gli avari e gli usurai, i cui orecchi sono otturati dal sudiciume del denaro... egli (l'avaro), per non prendere con avidità la parola di vita, o per non raccogliere il suono, la voce del predicatore, si tura gli orecchi del cuore" (Dom. II di Avvento, n. 10, p. 905). Vide Lazzaro, il cui nome significa 'Dio aiuta': manda Lazzaro ad intingere nell'acqua la punta del dito. . . Si potrebbe parafrasare così il senso: il povero ha bisogno del ricco in vita, il ricco ha bisogno del povero in morte.

Guai a non accorgersi di questo bisogno! I ricchi, infatti, muoiono prima di morire: timori inconfessati e talora assurdi si affacciano alla loro mente, cresce l'affanno, le relazioni piano piano si sfaldano, l'esistenza progressivamente si svuota di senso. Se poni la tua fiducia nelle ricchezze invece che in Dio si chiude davanti a te la porta che conduce alla Vita e alla felicità. Se l'uomo non si pone in ascolto, se non si accorge di suo fratello, se non alza gli occhi non potrà mai riconoscere la verità della vita. La vita si gioca nell'amore e la cifra dell'amore è la dignità di tutti, custodita e favorita con ogni mezzo. San Paolo scrive a Timoteo in modo accorato: "ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo". Cioè, non cada mai dalla tua mente il comandamento dell'amore a Dio e al prossimo, perché questo è il tesoro del nostro cuore da custodire al di sopra di tutto e senza alcun annacquamento. Allora davvero l'uomo sarà onorato e Dio sarà visto presente nel mondo.

Cosa bisogna fare? Due suggerimenti.

Il primo.
 
Al ricco non viene chiesto di disfarsi della sua 'disonesta ricchezza' - come la chiamava Gesù domenica scorsa -, ma di usarla per provvedere al povero, sollevarlo. In che modo? Ce lo ha ricordato ieri Papa Francesco nell'incontro di Assisi, Economy of Francesco: "Quando io parlo con la gente o confesso, io domando sempre: «Lei dà l'elemosina ai poveri?» - sì, sì!» - «E quando lei dà l'elemosina al povero, Io guarda negli occhi?» - «Eh, non so ...» - «E quando tu dai l'elemosina, tu butti la moneta o tocchi la mano del povero?». Non guardano gli occhi e non toccano; e questo è un allontanarsi dallo spirito di povertà, allontanarsi dalla vera realtà dei poveri, allontanarsi dall'umanità che deve avere ogni rapporto umano".

Il secondo: l'ascolto, occorre l'ascolto.

Se manca questo atteggiamento, non c'è dio che tenga, non c'è risurrezione che convinca, non c'è situazione drammatica che tocchi il cuore. L'ascolto è l'atteggiamento di chi si fa attento alla realtà, agli altri, alla loro storia, alla loro parola, al loro animo... alla Parola di Dio, alla voce dell'Amico.

Chi sa ascoltare è povero di spirito, come Antonio, che scrive:

 
"O Parola... che inebria il cuore, Parola dolce che conforta nella prova. Parola di beata speranza, o Parola, fresca acqua per l'anima assetata, gradito messaggero che porta liete notizie della terra lontana. Qui c'è il mormorio di una brezza leggera, l'ispirazione di Dio Onnipotente! ...Ti scongiuro, o Signore, scenda sul tuo servo la tua Parola" (Dom. IV di Avvento, n. 3, p. 925).

Preghiamo così ogni volta che ascoltiamo il Vangelo e vedremo la nostra vita trasformarsi.
Sant'Antonio, prega per noi!

 

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